giovedì 18 gennaio 2018

Conclusioni

Le ciglia artificiali, che pure appaiono ancillari e accessorie, raccontano una storia affascinante che accompagna le traiettorie del costume e dello spettacolo nel mondo, tra occidente e oriente, identificandosi, nei secoli, come vivace laboratorio di sperimentazione di materiali, forme e tecnologie.

Nate, tuttavia, sotto le luci dei riflettori le ciglia finte disvelano oggi, nel loro effetto sul mercato globale, zone d’ombra e responsabilità non trascurabili.

Tra luci e ombre.

Nel 1916 il regista americano D.W. Griffith utilizza, primo nel mondo, extension fatte di ciglia umane e le applica sulla protagonista femminile del suo film “Intolerance”, per creare “ciglia che facessero splendere i suoi occhi più della vita stessa”.

Questa prima sperimentazione non viene brevettata ma resta impressa nella storia del cinema e della cosmesi e diventa leggenda.

Dieci anni dopo il polacco Maksymilian Fedorowicz, in arte Max Factor, realizza le prime vere extension per lo sguardo di Phyllis Haver, la protagonista del musical “Chicago”.

L’impatto scenografico è potente, nonostante la semplice fattura: un filo e una sorta di frangia. Il successo di questo artificio fa nascere il desiderio di possedere ciglia lunghe e folte e ne alimenta il bisogno.

Sotto il profilo del materiale, tuttavia, le prime extension per ciglia rivelano performance poco soddisfacenti in termini di resistenza e durabilità nel tempo. Il loro utilizzo resta quindi confinato, per diversi anni, al mondo del cinema e alle luci di scena.

All'inizio degli anni cinquanta vengono immesse sul mercato le prime extension “pre-fabbricate”, in strisce, che entrano rapidamente nella beauty routine delle donne occidentali. E’ un prodotto che mantiene ancora oggi la sua posizione sul mercato della cosmesi, sul quale si sperimentano innovazioni e ricerche volte a migliorarne comfort e resa.

E’ l’oriente, però, che nei primi anni 2000 rappresenta il vero mercato di sviluppo di questo prodotto, complici le ciglia molto corte che, per natura, hanno le donne asiatiche. Proprio qui, il visagista giapponese Shu Eemura crea nel 2003 le extension con la tecnica one to one  usando il pelo naturale del visone.

La prima donna ad indossarle è Madonna. Ancora una volta la storia di questo oggetto si intreccia con le pietre miliari dell’evoluzione del costume e della storia dello spettacolo internazionale.

Oltre all’aspetto culturale è l’elemento tecnologico a rendere questo oggetto particolarmente interessante. Oggi solitamente le extension più comuni sono di fibre sintetiche (simil seta, finto visone, etc.), ma ne esistono ancora anche di vero visone per un effetto più opaco, ribelle e naturale, nonostante il prepotente affermarsi del “veganesimo” anche in questa nicchia renda sempre più impopolare l’utilizzo di materiali naturali e di origine animale per la produzione di questi oggetti.

A questo proposito occorre concludere facendo luce sulle implicazioni in termini di responsabilità sociale di questo oggetto così piccolo che muove però un mercato immenso. Il Victoria and Albert Museum di Londra, con collezioni d’arte tra le più importanti al mondo, ha aggiunto alla sua collezione le ciglia finte di Katy Perry, perché si discuta dei lavoratori sottopagati che le realizzano in Bangladesh e Indonesia.
Kieran Long, uno dei curatori del museo, dichiara al magazine di architettura e design Dezeen che l’inclusione di questi oggetti nella collezione serve soprattutto per discutere dei bassissimi salari con cui vengono pagati i lavoratori bengalesi e indonesiani, spesso anche significativamente più bassi di quello che richiede la soglia di sopravvivenza in quei Paesi.
In Indonesia, per ogni paio di ciglia prodotte il lavoratore viene pagato 10 centesimi, circa 66 volte meno del prezzo con cui poi le ciglia sono vendute nel mercato britannico (cioè a 5,95 sterline) poco più di 7 Euro.

Il mercato delle ciglia finte oggi è piuttosto esteso. Il mondo dello spettacolo ha contribuito a trasformare le ciglia finte in una grande industria, che secondo il Guardian oggi vale 110 milioni di sterline all’anno, circa 131 milioni di euro.


Tra luci e ombre. 

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